Come noto, il furto di energia elettrica è ormai un reato molto comune.
A volte, gli autori del reato sono stati individuati in commercianti oppure, più semplicemente, vicini di casa talmente parsimoniosi da profittare del contatore dell’energia elettrica altrui.
Altre volte, il furto viene commesso da parte di soggetti che versano in precarie condizioni economiche tanto da non riuscire a pagare le utenze.
Non pagare la fattura dell’utenza è un conto, ma rubarla ad altri è reato.
Tuttavia, di fronte a situazioni di grave bisogno economico, come si comporta la legge? In questi casi, il furto essere giustificato dallo stato di precarietà o da un presunto stato di necessità?
Per rispondere è necessario riferire cosa rappresenti per il diritto penale stato di necessità.
Quest’ultimo rappresenta una causa di giustificazione prevista dall’art. 54 c.p., il quale esclude il reato qualora questo venga commesso perché costretti “dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Con sentenza del 4 settembre 2017(https://drive.google.com/open?id=0BwYZK_jmbzZKSjNnbUk5N0J0UVk) la Cassazione ha espressamente chiarito che tale esimente non può applicarsi “a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti”.
In particolare, la Corte sostiene che la mancanza di energia elettrica non comporta “nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita […] semmai idoneo procurare agi ed opportunità, che fuoriescono dal concetto di incoercibile necessità, insito nella previsione normativa”.
La difesa argomentava a favore dell’assoluzione dal reato proprio in forza dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. rimarcando le condizioni precarie e faticose della propria assistita – sfrattata, priva di lavoro e con una figlia incinta.
A dire il vero una pronuncia di questo tenore non rappresenta di certo una novità.
L’esclusione dello stato di necessità è stato infatti ribadito anche in altre occasioni di condizioni di precarietà economica e sociale (si pensi ai casi di emergenza abitativa) a fronte dei quali i giudici della Suprema Corte non hanno disatteso la predetta l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 54 c.p..
Insomma, ferme le condizioni della norma richiamata, finché un fatto è evitabile non può esservi stato di necessità.
Infine, tiene a precisare la Suprema Corte in una stringata riga come “l’allaccio abusivo alla rete, in qualunque modo effettuato, integra la fraudolenza sanzionata dall’art. 625, n. 2.” con poca pace dunque per tutti quei difensori che affrontando simili cause tentano sempre con argomentazioni giuridiche più o meno efficaci di escludere tale aggravante.