Prolificano sul web siti, gestiti da privati o da società specializzate, nei quali sono attive piattaforme che permettono agli utenti di scrivere di inserire commenti in merito agli argomenti di volta in volta trattati.
Tuttavia, spesso accade che siano pubblicati frasi diffamatori e che, pur essendo riconosciute come offensive dagli stessi gestori del sito, non vengono rimosse o oscurate dal sito da parte dei gestori.
La Corte di Cassazione (sent. Cass. 54946/2017) è intervenuta recentemente in tema di concorso nel reato di diffamazione con specifico riferimento alla condotta tenuta da parte dei gestori del sito internet riferendo che: “il giudizio di responsabilità veniva pertanto formulato per l’aspetto […] dell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria che neppure il ricorrente contesta, dalla data appena indicata, allorché ne apprendeva l’esistenza, fino al successivo 14 agosto, allorché veniva eseguito il sequestro preventivo del sito”
In altri termini, la sussistenza della responsabilità penale in capo al gestore non poggia tanto sulla posizione apicale (lo status di gestore del sito internet) in quanto tale; non siamo di fronte quindi a un’ipotesi (costituzionalmente illegittima) di responsabilità c.d. da posizione. Piuttosto, il gestore del sito viene dichiarato responsabile per aver mantenuto sul sito i contenuti offensivi, omettendo di rimuovere l’articolo, una volta venuto a conoscenza del carattere denigratorio pubblicato.
Ciò posto, in conclusione, la Cassazione finisce (pur implicitamente) per “suggellare” la sussistenza di un obbligo di rimozione, in capo ai gestori dei siti internet, di ogni contenuto potenzialmente offensivo pubblicato dagli utenti di cui il gestore sia venuto a conoscenza (anche in via potenziale), aderendo a un’interpretazione potenzialmente in conflitto con alcuni recenti arresti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.