Con la proposta di legge C. 4368 recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, vengono introdotte rilevanti novità, oltre che sul fronte processuale, anche sul versante del diritto penale sostanziale, tra le quali spicca la nuova causa di estinzione del reato per condotte riparatorie di cui all’art. 162 ter cp, la quale è destinata a trovare applicazione esclusivamente con riferimento ai reati procedibili a querela soggetta a remissione, nel caso in cui, pur in presenza di condotte idonee a reintegrare l’offesa, in termini di risarcimento del danno e di eliminazione delle conseguenze del reato, persista la volontà punitiva del querelante.
Si tratta, a ben considerare, di un istituto alle cui evidenti finalità deflative, potrebbe, però, non corrispondere, in concreto, un reale effetto di “alleggerimento” del sistema penale.
Prima di esaminare l’istituto, è opportuno una sintetica definizione delle cause di estinzione del reato.
Sintetizzando estremamente, si può dire che queste rientrano nel novero delle cause di esclusione della punibilità che possono essere qualificate come quei fattori che sopravvengono quando il reato è già perfetto ed incidono sulla sola punibilità per ragioni estranee o contrastanti con la protezione del bene protetto dalla norma incriminatrice.
Si tratta di istituti che comportano l’inapplicabilità di qualsiasi sanzione penale pur legalmente prevista per lo specifico reato.
Oggi, tra queste si collocano le condotte riparatorie, a norma del nuovo articolo 162-ter c.p., a tenore del quale “nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi dell’art. 1208 del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo”.
Al comma 2 viene formulata un’ulteriore precisazione: “quando dimostra di non aver potuto adempiere, per un fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento della somma, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’art. 240, co. 2”.
L’ultimo comma chiude l’art. 162 ter c.p. stabilendone l’esito possibile: “Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie”.
Non mancano le critiche al nuovo istituto.
Infatti, la nuova causa di estinzione del reato di cui al nuovo art. 162 ter cp non può ricondursi alla categoria della giustizia riparativa, in quanto la stessa, lungi dal valorizzare le potenzialità intrinsecamente sanzionatorie del risarcimento del danno, non contempla una pena, né presuppone un effettivo pentimento, né si pone come obiettivo la rieducazione del reo, ma prevede soltanto la tacitazione della vittima a fronte del risarcimento del danno, anche quando tale “riparazione” non è accettata dalla persona offesa.