“Integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ai sensi dell’art. 483 del codice penale, la falsa attestazione compiuta dal contribuente, nel modello F24 utilizzato per il versamento di somme a titolo di imposta, di essere autorizzato a portare in compensazione con il proprio debito crediti fiscali di un terzo, vista la natura di atto pubblico del modello F24 che costituisce prova del pagamento effettuato alla presenza del funzionario dell’istituto di credito delegato alla riscossione”.
Questa, in sintesi, la pronuncia della Quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 18803 del 15/02/2018.
Infatti, il modello F 24 non può essere considerato un’attestazione del contenuto di un altro e diverso atto ma “costituisce esso stesso l’atto di pagamento dell’imposta, visto che, con la sua sottoscrizione e la consegna alla banca delegata, il contribuente incarica (con delega irrevocabile) la banca a corrispondere all’Amministrazione finanziaria la somma contestualmente versata (o a disposizione del contribuente presso il medesimo istituto)”.
Allo stesso tempo, continua la Suprema Corte, il modulo F24 “non è una scrittura privata” in quanto l’atto “non consiste nella sola dichiarazione di volontà del contribuente di versare le imposte dovute ma costituisce anche la prova del pagamento delle stesse, pagamento avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata dall’amministrazione finanziaria a riscuoterle”.