L’Ordinanza in esame segue l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale la condotta extra lavorativa del dipendente può avere rilevanza disciplinare ove costituisca violazione delle obbligazioni gravanti sul lavoratore o, comunque, si rifletta negativamente sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative di un futuro corretto adempimento della prestazione.
In particolare, per attribuire rilievo disciplinare ai comportamenti extra lavorativi la giurisprudenza ha integrato il dovere di fedeltà sancito di cui all’art. 2105 del Codice Civile con i canoni di buona fede e correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 Codice Civile calato in termini di leale comportamento nei confronti del datore di lavoro tale da imporre al dipendente l’astensione tanto dai comportamenti espressamente vietati dalla legge quanto dai comportamenti contrastanti con i doveri correlati all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, in quanto conflittuali rispetto alle finalità e agli interessi del datore di lavoro o, comunque, idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto.
E’ per tali ragioni che deve ritenersi disciplinarmente rilevante il comportamento tenuto dal lavoratore che, nel pubblicare sulla propria bacheca Facebook un commento denigratorio nei confronti del proprio datore di lavoro (e, quindi, diffondendolo a una platea ampia se non indeterminata di utenti) ne ha certamente leso il decoro e l’immagine.
In definitiva, la gravità dell’illecito emerge proprio dalla dimensione pubblica dell’offesa insita nella modalità di diffusione (immediata e per lo più indiscriminata) di ogni messaggio postato sui social network, che la rende inevitabilmente più grave dell’offesa verbale ad un collega sul sul posto di lavoro proprio per la dimensione privata di quest’ultima (e, come tale, non suscettibile di ledere l’immagine aziendale).
In conclusione, la condotta di postare un commento su Facebook realizza inevitabilmente la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che se, come nel caso in esame, lo stesso è posto in essere da un dipendente ed è offensivo nei riguardi della società datrice di lavoro, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale il comportamento del dipendente – in quanto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che sorregge il rapporto lavorativo – giustifica il recesso in tronco.