In considerazione dell’interesse mediatico della vicenda, si pubblicano le motivazioni della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Appello di Bologna nel procedimento penale che vede imputato Michele Castaldo per l’omicidio di Olga Matei.
A questo proposito, per una migliore comprensione della sentenza di merito che in questa sede si pubblica, si ritiene utile mettere a disposizione alcune brevi note.
La Corte di Assise di Appello di Bologna prende le mosse mostrando di condividere la decisione di primo grado sulla sussistenza della aggravante dei futili motivi di cui all’art. 61 n. 1 c.p.
In particolare si sofferma sul rapporto tra futili motivi e stato di gelosia.
Sussiste la aggravante dei futili motivi – scrivono i giudici – «quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale».
Con riferimento alla contestata aggravante – si legge nelle motivazioni – «la manifestazione di gelosia può non integrare il motivo futile solo qualora si tratti di una spinta davvero forte dell’animo umano collegata ad un desiderio di vita in comune: costituisce, invece, motivo abietto o futile quando sia espressione di uno spirito punitivo nei confronti della vittima, considerata come propria appartenenza e di cui va punita l’insubordinazione».
Secondo la Corte è quest’ultima la situazione ricorrente nel caso concreto.
Infatti, si era in presenza di una condotta «espressione di un intento meramente punitivo nei confronti di una donna che si mostrava poco sensibile per le sue fragilità e che – con tale atteggiamento – gli lasciava immaginare di potersi stancare della relazione e di decidere di lasciarlo».
Sotto questo punto di vista, dunque, la Corte di Assise di Appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado in punto di sussistenza della aggravante dei futili motivi non ritenendo in alcun modo lo stato di gelosia tale da poter giungere ad un giudizio di incompatibilità con la aggravante di cui all’art. 61 n. 1 c.p.
Diversa è stata, invece, la valutazione dei giudici di appello per quanto riguarda il riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche (negate dai giudici di primo grado).
Sotto questo punto di vista, i giudici hanno attribuito rilievo ad una pluralità di circostanze tra cui la confessione dell’imputato (intesa non solo come confessione del fatto storico, ma anche come ammissione di quelle circostanze da cui desumere la prova della circostanza aggravante dei futili motivi) e l’aver tentato di iniziare a risarcire la figlia minore della vittima .
Secondo la Corte, tra gli altri elementi su cui fondare il riconoscimento delle attenuanti generiche vi sarebbe anche – e veniamo così all’aspetto oggetto di critiche – il fatto che il forte stato di gelosia, sebbene «certamente immotivato e inidoneo a inficiare la capacità di autodeterminazione dell’imputato», determinò nell’imputato, anche «a causa delle sue poco felici esperienze di vita, quella che efficacemente il perito descrisse come “una soverchiante tempesta emotiva e passionale“, che in effetti si manifestò subito dopo anche col teatrale tentativo di suicidio».
Tale condizione emotiva – che non era l’unico elemento sulla base del quale sono state riconosciute le generiche – è stata correttamente inquadrata dai giudici tra i cd. «stati emotivi o passionali».
Tale situazione, che se da un lato non è di regola idonea ad incidere sulla imputabilità (posto che, come è noto, ai sensi dell’art. 90 c.p., «gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità») dall’altro può tuttavia influire concretamente sulla misura della responsabilità penale.
All’interno della cd. «misura» della responsabilità penale, certamente rientrano le circostanze attenuanti generiche che, ai sensi dell’art. 62-bis c.p., possono essere concesse qualora il giudice ravvisi la sussistenza di circostanze – diverse da quelle di cui all’art. 62 c.p. – tali da giustificare una diminuzione della pena.
Nell’ambito di tale valutazione, la Corte ha attribuito rilievo (anche) allo stato d’animo del soggetto attivo, aderendo a quell’orientamento della Suprema Corte di Cassazione secondo cui «gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità, possono comunque essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto essi influiscono sulla misura della responsabilità penale» (si veda, tra le tante, Cass. Pen., Sez. I, 5 aprile 2013, n. 7272).
Stante il principio di diritto appena menzionato, sarà il giudice di merito a valutare, caso per caso, se sussistano in concreto le condizioni richieste per concedere o meno le attenuanti generiche.
Quanto al tipo di valutazione richiesta al giudice, in giurisprudenza è ricorrente il principio secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle generiche è sufficiente che il giudice faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
Da ciò se ne ricava che la Corte ha rideterminato la pena sulla base del riconoscimento delle attenuanti generiche che erano state negate in primo grado; a tale diminuzione è giunta anche senza pronunciarsi sulla rilevanza degli stati emotivi o passionali e giustificando il riconoscimento delle attenuanti generiche sulla base di altre circostanze quali, ad esempio, l’assenza di precedenti penali o la confessione dell’imputato.
A ciò si deve aggiungere, come prima evidenziato, che il forte stato di gelosia era stato comunque già valutato dalla Corte di appello (in maniera non certamente favorevole all’imputato) nel condividere la scelta dei giudici di primo grado di ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi.
In ogni caso la Corte ha considerato le plurime circostanze poco sopra descritte equivalenti (e non prevalenti) rispetto alla contestata aggravante dei futili motivi, in considerazione della estrema gravità della condotta.