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4 Maggio 2017
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DIFFAMAZIONE E SOCIAL NETWORK: QUANDO SI CONFIGURA IL REATO?

La diffamazione anche se commessa su internet o meglio utilizzando i social network non perde la sua connotazione principale: si tratta sempre di un reato commesso in assenza della vittima (a differenza dell’ingiuria che, come noto, non è più reato bensì illecito civile).
La sentenza della Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione n. 50 del 2/01/2017 evidenzia come “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.
Le bacheche dei social network, evidentemente destinate ad essere consultate da un numero indeterminato di persone (in linea con la ratio dello strumento di comunicazione e condivisione telematica quale è internet) rappresentano, secondo la Suprema Corte il “mezzo di pubblicità” che è di per se idoneo a “coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa”.
La natura di “altro mezzo di pubblicità”, richiesta per la configurabilità dell’aggravante, sussiste anche in considerazione della modalità di accesso al social network che richiede una procedura di registrazione – assai semplice e gratuita – in quanto “la natura di “altro mezzo di pubblicità” discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax e della posta elettronica indirizzata a una pluralità’ di destinatari” ( così, Corte di Cassazione Penale, Prima Sezione, del 2/01/2017 n. 50).

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