Nel corso di lavori edili, commette reato chi, violando le prescrizioni di cui all’art. 153 comma 5 del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008) chi non provvede a ridurre il sollevamento della polvere ottenuta a causa della demolizione, irrorando con acqua le murature ed i materiali di risulta ovvero omettendo qualsiasi cautela per impedire un rilevante sollevamento di polveri.
La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 10005 del 1 marzo 2017 riconosce la responsabilità penale del ricorrente in quanto per la configurabilità della violazione non occorre “un rilevante sollevamento di polveri, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato impedito, omettendo l’adozione di qualsiasi cautela” mancando nella norma di legge riferimento all’entità del sollevamento della polvere proveniente dalle demolizioni.
Tuttavia, la stessa Corte precisa che sarà compito del Giudice di merito – e non alla Corte di Cassazione alla quale è precluso l’apprezzamento dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità nei casi in cui si renda necessaria una valutazione complessiva di profili di fatto – considerare o meno l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. ossia accertare l’eventuale sussistenza delle condizioni per escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto.
Infatti, secondo la Corte “l’esiguità del danno o del pericolo va valutata sulla base di elementi oggettivamente apprezzabili, dai quali ricavare la minima entità delle conseguenze o del pericolo e, dunque, la loro irrilevanza in sede penale“.