Con la legge n. 67 del 2014 è entrata in vigore una modalità di definizione del processo con proscioglimento già conosciuto dall’ordinamento giudiziario sia in ambito minorile che in fase di esecuzione nei procedimenti a carico dei maggiorenni.
Cosa si intende per messa alla prova?
Il secondo capoverso del comma 2 dell’art. 168-bis c.p. prevede che la messa alla prova comporti l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare tra l’altro attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
In particolare l’attività di volontariato di rilievo sociale da svolgere – condicio sine qua non dell’ammissione alla messa alla prova – è costituita dal lavoro di pubblica utilità.
Trattasi di una prestazione non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le aziende sanitarie o presso enti od organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
E’ necessario precisare che il lavoro di pubblica utilità non deve pregiudicare le esigenze di studio, lavoro, famiglia e salute dell’imputato e deve essere disposto per una durata giornaliera non superiore ad otto ore e per un minimo di dieci giorni, anche non continuativi; non è contemplata, la durata massima ancorché tale possa ritenersi la durata prevista per la prova, ovvero un anno, nel massimo, quando si tratti di reati puniti con pena pecuniaria, due anni, nel massimo, quando si tratti di reati puniti con pena detentiva.
Concretamente cosa accade a coloro che ne possono beneficiare?
Sul piano sostanziale si ottiene l’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova, e, sul piano processuale, si approda ad una modalità alternativa di definizione del giudizio.
Sotto il profilo contenutistico, l’art. 168-bis c.p. prevede anzitutto che la messa alla prova comporti la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato, sempre che vi siano state conseguenze in tal senso.
Allo stesso tempo, vanno incentivate condotte volte a promuovere la mediazione con la persona offesa , qualora quest’ultima ritenga di poter dialogare con l’imputato.
In merito ai requisiti formali imposti dalla normativa, è necessario che la richiesta sia formulata dall’indagato/imputato, oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata in caso di conferimento della procura speciale.
A ciò si aggiunga che la richiesta in questione deve essere corredata di un programma di trattamento elaborato dall’Ufficio esecuzione penale esterna (UEPE) competente per territorio, previo istanza rivolta al medesimo Ufficio e finalizzata alla sua elaborazione.
In quali casi si può presentare istanza?
La richiesta deve riferirsi ad un reato punito con la pena pecuniaria ovvero con la pena detentiva fino a quattro anni ovvero a un reato che rientra fra quelli previsti dall’art. 550, comma 2, c.p.p. di competenza del tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio.
Si tenga in considerazione che tre giorni di prova equivalgono a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.
In tema di individuazione dei reati per i quali è ammessa la sospensione del procedimento con messa alla prova si riferisce quanto stabilito recentemente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza depositata il primo settembre 2016: “occorre avere riguardo esclusivamente alla pena edittale massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dalla contestazione delle circostanze aggravanti, ivi comprese quelle per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”.
Sono previste condizioni ostative alla presentazione della richiesta?
E’ importante, tuttavia, che la domanda provenga da chi non sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza, da colui al quale non sia stata già concessa la sospensione e poi revocata, ovvero da colui al quale non sia stata concessa con esito negativo.
Quando si può presentare l’istanza con la richiesta di sospensione?
Il legale che provvederà ad assistere l’istante approfondirà in maniera professionale quali sono i passaggi processuali da attuare, in ogni caso, qui è necessario riferire che la richiesta può essere avanzata sia prima che dopo l’esercizio dell’azione penale (ossia, in corso di indagini preliminari ovvero in sede di udienza preliminare, dibattimento, opposizione a decreto penale di condanna o entro 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato).
Sull’istanza deciderà il Giudice, il quale dovrà valutare l’idoneità del programma ed eventualmente modificarlo con il consenso dell’interessato.
Una volta terminato il periodo di prova, cosa accade?
Alla scadenza del periodo di prova, l’ufficio esecuzione penale esterna trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e sull’esito della prova medesima.
Valutata la relazione nel contraddittorio tre le parti, il giudice, quando la prova ha dato esito positivo, pronuncia sentenza con la quale dichiara il reato estinto, senza tuttavia pregiudizio per l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie che rimangono di competenza dell’autorità amministrativa.
Qualora invece l’esito della prova sia negativo, il giudice dispone con ordinanza non impugnabile che il processo riprenda il suo corso dalla fase in cui è intervenuta la sospensione.
Sono previsti dalla legge anche casi di revoca della sospensione.
L’avvocato penalista al quale l’interessato si rivolgerà sarà in grado di riferire in maniera più dettagliata quanto la legge prevede in merito a questo nuovo istituto.