Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Sentenza n. 22148/2017) è reato installare telecamere di videosorveglianza in azienda senza accordo coi sindacati, anche se c’è il consenso scritto dei dipendenti.
Il datore di lavoro che installa le telecamere in azienda senza il previo accordo coi sindacati commette reato anche se ha ottenuto l’autorizzazione scritta dai propri dipendenti.
Con la sentenza in commento la III Sezione Penale della Corte di Cassazione, discostandosi da una sua precedente pronuncia del 2012, chiarisce che il consenso eventualmente prestato dai lavoratori all’installazione di un impianto di videosorveglianza non ha alcuna efficacia scriminante in ordine al reato previsto dall’art. 4 della L. n. 300/1970 (di seguito “Statuto dei lavoratori” o anche solo “Statuto”) in combinato disposto con l’art. 38 della stessa legge e con gli artt. 114 e 171 del D.lgs. n. 196/2003 (“Codice Privacy”).
L’art. 4 L. n. 300/1970 infatti, anche all’esito delle recenti modifiche introdotte con il cosiddetto Job Act (art. 23 d.lgs. n. 151/2016) parla chiaro: il controllo a distanza dei lavoratori è sempre vietato, salvo che vi sia l’intesa con le parti sociali.
È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza.
La Suprema Corte, infatti sostiene che “non abbia alcuna rilevanza il consenso scritto o orale concesso dai singoli lavoratori, in quanto la tutela penale è apprestata per la salvaguardia di interessi collettivi di cui, nel caso di specie, le rappresentanze sindacali, per espressa disposizione di legge, sono portatrici, in luogo dei lavoratori che, a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro, potrebbero rendere un consenso viziato”.
La stessa continua affermando che: “La protezione di siffatti interessi collettivi, riconducibili nel caso di specie alla tutela della dignità dei lavoratori sul luogo di lavoro in costanza di adempimento della prestazione lavorativa, non viene meno in caso di mancato accordo tra rappresentanze sindacali e datore di lavoro, dovendo quest’ultimo comunque rimuovere l’impedimento alla installazione degli impianti attraverso il rilascio di un’autorizzazione che rientra nelle competenze di un organo pubblico, cui spetta di controllare l’interesse datoriale alla collocazione degli impianti nei luoghi di lavoro per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, cosicché il consenso o l’acquiescenza del lavoratore non svolge alcuna funzione esimente, atteso che, in tal caso, l’interesse collettivo tutelato, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporne, rimane fuori della teoria del consenso dell’offeso, non essendo riconducibile al paradigma generale dell’esercizio di un diritto.”
Insomma, la pronuncia ribadisce un caposaldo della legge in materia di luoghi di lavoro: le telecamere in azienda sono vietate anche col consenso dei dipendenti.